lunedì 25 febbraio 2013

La famiglia, "via della Chiesa", cuore del magistero di Benedetto XVI


La famiglia, "via della Chiesa", cuore del magistero di Benedetto XVI

Tante le famiglie presenti ieri all’Angelus in Piazza San Pietro. Più volte nel corso del suo pontificato il Papa ha evidenziato il ruolo prioritario della famiglia nella società, chiedendo leggi a tutela del matrimonio tra un uomo e una donna. “L’amore a cui le famiglie sono chiamate è l’unica forza capace di trasformare ilmondo”. Ripercorriamo il magistero di Benedetto XVI sulla famiglia

Via della Chiesa, protagonista della nuova evangelizzazione, fondamento indispensabile della civiltà, ma nonostante ciò, oggi più che mai, realtà sotto assedio. E’ così che Benedetto XVI ha definito la famiglia innumerevoli volte durante il suo pontificato chiedendo per essa a politici e legislatori un attenzione prioritaria. Non è possibile rimanere indifferenti di fronte agli attacchi rivolti a questa cellula fondamentale della società in primis in Europa dove – ha segnalato il Papa – vanno diffondendosi “false ideologie” sull’amore e “una secolarizzazione che porta all’emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione della famiglia”. Siamo chiamati – ha esortato - a contrastare tale mentalità:

“Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclissi di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessuale appaiono collegati tra loro. E come sono in relazione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana”.

Le famiglie cristiane, piccole chiese domestiche, – spiega il Pontefice – sono chiamate urgentemente ad un nuovo protagonismo nella società, ad essere “soggetto di evangelizzazione” per manifestare nel mondo l’amore e la presenza di Cristo. Il Papa indica come: dall’affermazione della vita umana dal concepimento al suo termine naturale alla dedizione reciproca dei coniugi, dalla procreazione generosa e responsabile alla cura ed educazione dei figli, dall’impegno civile a quello nel “lavoro”. A tal proposito Benedetto XVI invoca politiche a tutela della conciliazione famiglia-lavoro specie per quanto riguarda le donne:

“E’ necessario sostenere concretamente la maternità, come pure garantire alle donne che svolgono una professione la possibilità di conciliare famiglia e lavoro. Troppe volte, infatti, esse sono poste nella necessità di scegliere tra i due”.

Una mancata conciliazione tra questi ambiti porta a vedere il figlio come un problema e non come un dono, constata il Papa che, guardando ai Paesi in cui vanno affermandosi a livello giuridico nuove forme di famiglia e genitorialità, aggiunge: “Difendere la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna non è retrogrado, ma profetico perché promuove la persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio. Impegnarsi per famiglia e matrimonio – ha aggiunto – vuol dire impegnarsi per l’uomo, la realtà più preziosa tra quelle create da Dio”:

“E’ proprio la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, l’aiuto più grande che si possa offrire ai bambini. Essi vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, ed hanno bisogno di abitare, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché le figure materna e paterna sono complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità. E’ importante, quindi, che si faccia tutto il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile”.

“La vocazione all’amore familiare è l’unica forza che può veramente trasformare il mondo” , – rileva il Papa – ma essere famiglia non è facile. Lo dimostrano i tanti divorzi:

“Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza”.

Dove, dunque, i genitori possono imparare quell’amore duraturo, generoso e fedele, così necessario allo sviluppo armonico di un bambino e al benessere della società? Alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth, spiega Benedetto XVI. Qui le famiglie divengono piccole scuole di preghiera, formano i cittadini del domani affinchè siano responsabili e onesti. Tuttavia – nota il Papa – in questa prolungata crisi economica, oggi per le nuove generazioni il futuro è pieno di incognite:

“È urgente che, pur nel difficile momento, si faccia ogni sforzo per promuovere politiche occupazionali, che possano garantire un lavoro e un sostentamento dignitoso, condizione indispensabile per dare vita a nuove famiglie".

Se molti Paesi hanno retto alla crisi è stato grazie alle famiglie. A queste il Papa chiede di mostrare il volto umano che l’economia deve avere:

“E’ primariamente nella famiglia che si apprende come il giusto atteggiamento da vivere nell’ambito della società, anche nel mondo del lavoro, dell’economia, dell’impresa, deve essere guidato dalla ‘caritas’, nella logica della gratuità, della solidarietà e della responsabilità gli uni per gli altri”.

Per contrastare una dilagante mentalità individualistica – evidenzia il Papa – è necessario poi valorizzare il ruolo dei nonni, non un peso, ma un “tesoro che non si può strappare alle nuove generazioni:

“Ritornino i nonni ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per quanto riguarda la famiglia, i nonni continuino ad essere testimoni di unità, di valori fondati sulla fedeltà ad un unico amore che genera la fede e la gioia di vivere”.

Tutelare la famiglia, evitarne il disgregamento, vuol dire anche consentire ai suoi membri di avere uno spazio e un tempo di incontro. Di qui il forte appello levato di fronte ad oltre un milione di persone, lo scorso giugno nel parco di Bresso a Milano, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, perché sia tutelata la domenica:

“E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio”.

Ed è sempre nell’incontro di Milano che Benedetto XVI ha voluto condividere il prezioso ricordo della sua famiglia di origine, caratterizzata da rapporti di fiducia e immagine dell’amore del Padre:

“Sono stati momenti indimenticabili … eravamo un cuore e un’anima sola … anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà … Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per le cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo sia molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia … perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà il Paradiso, penso al tempo della mia giovinezza, della mia infanzia … In questo senso spero di andare ‘a casa’, quando andrò nell’aldilà …”.

lunedì 18 febbraio 2013

Gesù è l'amore verticale e orizzontale, ci amò fino alla fine

Gesù è l'amore verticale e orizzontale, ci amò fino alla fine

Noi...
"Cristo non ha più mani,
ha solo le nostre mani
per fare il suo lavoro oggi.

Cristo non ha più piedi,
ha solo i nostri piedi
per guidare l'umanità
lungo la sua strada.

Cristo non ha mezzi,
ha solo il nostro aiuto
per condurre a sè l'umanità.

Noi siamo la sola Bibbia
che l'umanità legge ancora.
Siamo l'ultimo messaggio di Dio ,
scritto in opere e in parole"

(preghiera del secolo XVI)



Buon lunedì a tutti e che la Quaresima ci ricordi che l'esistenza cristiana è un combattimento senza sosta, nel quale vanno utilizzate le "armi" della preghiera, del digiuno e della penitenza. Lottare contro il male, contro ogni forma di egoismo e di odio, e morire a se stessi per vivere in Dio è l'itinerario ascetico che ogni discepolo di Gesù è chiamato a percorrere con umiltà e pazienza, con generosità e perseveranza.

Ave Maria!

Maria Maistrini

PIETA' DI ME, O DIO

Pietà di me, o Dio
Il grande peccato
«Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe,mondami dal mio peccato».
Dice bene il salmista: "lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato." (Sl. 51) Se c'è infatti un peccato che si insinua nella nostra vita, nel nostro quotidiano e che è fonte di tutti i peccati è proprio quello della superbia. Per questo possiamo definirlo come "il grande peccato". Mentre gli altri vizi si oppongono, per così dire, ad una specifica virtù, la superbia si insinua ovunque e danneggia più profondamente la nostra vita. Infatti la superbia non si pone solo come opposto all'umiltà ma inquina grandemente tutti i vizi ponendosi come incipit della rovina dell'uomo.
E' per superbia che l'angelo portatore di luce è diventato satana e ha corrotto nel suo stesso verme malato i nostri progenitori. La superbia fa presa su ciò che di buono c'è nel nostro cuore stravolgendolo in una dinamica distruttoria e competitiva al contempo. Stravolge il dono di "essere come Dio" perché ciò diventi una pretesa senza l'aiuto e la grazia di Dio stesso. Il che, evidentemente , è impossibile.
La risposta psicologica
Dietro la superbia la psicologia ha posto spesso una risposta basata sulla disistima che il soggetto ha verso se stesso, vittima egli stesso, di una continua competizione tra il "reale di sé" e la "proiezione di sé". Poiché l'autostima è qualcosa che si acquista nel rapporto primario della relazione genitoriale se essa è falsata, distorta o assente, in maniera soddisfacente, il soggetto vive in costante competizione frustante tra ciò che è e ciò che vuole essere ma sempre nella bramosa voglia di "eccellere su" per dimostrare a se stesso che "vale".
Il superbo, dunque, psicologicamente parlando, vive nella costante proiezione falsata di sé e nella incapacità di di accogliere il limite personale.
Per questo, paradossalmente, per quanto competitivo, il superbo non matura e non cresce proprio perché non parte dalla realtà ma da un bisogno costante di auto-affermazione e di narcisistico compiacimento.
Per ottenere questo si serve di tutto anche degli affetti più belli, anche di Dio.
Per il superbo, psicologicamente parlando, gli altri o l'Altro, sono delle cose che servono per dimostrare a se stesso che egli "è più in alto". Sempre.
Proprio per questo il superbo cade in una solitudine omeostatica che lo "incancrenisce" sempre più nella sua situazione distruttiva.
Non solo.
Questa condizione lo porta inevitabilmente ad essere impermeabile ad una vera conversione e maturazione psico-spirituale proprio perché si conosce poco e conosce di sé solo quel lato che egli desidera di essere, proprio per questo il superbo è incapace di ascoltare e di relazionarsi significativamente sia nella vita sociale che nella vita affettiva.
L'attuale stato culturale, fatto di apparenza e narcisismo, di reality e di gossip non fa che alimentare questa virulenta deviazione psichica e generare dei mostri radicalmente soli ed incapaci di maturare. Prigioniero nella sua paura di essere mediocre e normale, bisognoso di approvazione, tende a codificare i rapporti significativi a vantaggio della sua proiezione smisurata di essere come Dio senza Dio.
La superbia, inoltre, è fonte del 98 % dell'ateismo il quale, non solo per i motivi di disistima di cui sopra, ma anche per l'incapacità di ascoltare e di ascoltarsi si oppone a Dio e lo nega prima affettivamente e poi razionalmente. Di fatto l'ateismo sano e sofferto è veramente raro. Se è vero che una certa immaturità affettiva può portare alla religiosità e anche vero che quasi sempre alla base di un approccio ateo alla realtà c'è una persona infantile e narcisista, incapace di equilibrio affettivo.
Il danno spirituale
Tuttavia il danno più profondo della superbia avviene a livello spirituale. Infatti la dimensione psicologica fornisce una parziale risposta su questa cancrena che coinvolge i livelli più profondi del cuore dell'uomo, della sua personalità, della sua libertà e delle sue scelte. La natura competitiva della superbia ne fa un vizio che non si placa mai e che impedisce radicalmente di conoscere Dio.
Come si spiega allora che alcune persone appaiono religiosissime e sono invece superbe? La risposta è relativamente semplice, costoro non conoscono Dio ma adorano un dio immaginario costruito a propria immagine e somiglianza. Quando la vita spirituale da la sensazione di essere buoni e di essere a posto per le nostre forze e non per dono di Dio significa che il vizio della superbia ci ha permeato.
Nei fatti da cosa si vede? Dalle prove che ci fanno scontrare con il nostro senso del limite!
Le prove infatti obbligano sia la nostra psiche che il nostro spirito a smontare l'immagine di Dio che ci siamo costruiti e siamo chiamati ad andare oltre e a crescere. Così è avvenuto per ogni uomo di Dio. Pensiamo per esempio ad Abramo, padre nella fede, che è stato chiamato sempre oltre.. prima ad uscire dalla propria terra, poi a credere che Dio gli avrebbe dato un figlio in tarda età e poi a credere che Dio è il Dio della vita e che resuscita dai morti.
Solo nel dramma del sacrificio "del figlio unico" ogni proiezione, pur buona di Abramo, crolla per far spazio a ciò che Dio rivela di se stesso e solo così Abramo conosce infine anche se stesso, il proprio limite e in definitiva la propria grandezza.
Ecco perché la superbia è il peggiore dei vizi, perché ha una natura totalmente spirituale. A differenza degli altri vizi che sono di natura, per così dire animale, la superbia inquina lo spirito dell'uomo. Giustamente osserva C. S. Lewis:"Il diavolo se la ride.. è contentissimo che tu diventi casto, coraggioso e capace di dominarti, purché egli possa istituire dentro di te la dittatura della superbia; così come sarebbe felicissimo che tu guarissi dai geloni se in cambio gli fosse consentito di farti venire il cancro" (C. S. Lewis, "il cristianesimo così com'è").
La superbia, nella sua natura competitiva, tende a distruggere tutto il buono possibile e a non gioire della comunione e della comunione dei beni spirituali. E' infatti la superbia che porta competitivamente ad affermare frasi tipo:
"il mio cammino spirituale è migliore", "si prega meglio con il canto in lingue che con i canti neocatecumenali", "questo è un cammino più fedele alle radici del cristianesimo", "il concilio vaticano secondo è stato una rovina della Chiesa", "il concilio vaticano secondo è stato disatteso", "la liturgia più corretta è quella in latino", "noi siamo la vocecattolica che difende i luoghi sacri", "bisogna seguire queste rivelazioni private, la Chiesa non capisce" e così via, solo per fare qualche esempio dei contrasti di sempre, ad intra, che, alimentati dalla superbia, viaggiano nei gruppi ecclesiali, tra conservatori e progressisti, tra spiritualisti fanatici e cristiani no-global; che minano la comunione ecclesiale.
Tutte le volte con la condizione previa non di fare verità ma di sentirsi giustificati agli occhi dell'immagine di Dio che ci siamo costruiti. Cose talvolta non dette ma che fanno da motivo sotterraneo del nostro giudizio.
San Paolo, memore della sua esperienza pastorale alle comunità di Corinto, scrisse, per questo motivo, il paragone del corpo (1Cor. 12). Proprio per questo motivo la superbia è il veleno della divisione. E' probabile che con un pochino di superbia in meno non ci sarebbero state (e non ci sarebbero) tante eresie e nemmeno le divisioni tra le Chiese.
Quali rimedi dona la Chiesa? Innanzitutto la radicalità di una vita di preghiera sulla Parola di Dio e sulla autenticità del cuore.
E' lo Spirito Santo che "convince" al peccato e che fa verità nel tuo cuore, è lo Spirito Santo che ti dona di stare in ginocchio, dentro di te prima che fisicamente.
Nello stesso tempo una robusta vita ecclesiale fatta di confronto per essere veri e autentici. Tra questi "mezzi" che la Chiesa, nella sua sapienza propone, sottolineiamo la direzione spirituale.
Se non sei capace di ascoltare e sottometterti significa che in te c'è prepotente il veleno della superbia.
La falsa umiltà
C'è però anche una falsa umiltà, che è una superbia mascherata.
L'avversione ai complimenti ne è una dimostrazione. I complimenti quando ci sono, come gli apprezzamenti, sono una cosa buona, lo sbagliato è appropriarsene e non riconoscere la carezza che Dio ci fa attraverso il fratello.
Ecco perché l'avversione ai complimenti sono una specie di truffa, sotto la scorza dell'umiltà mascheriamo ciò di cui abbiamo vitalmente e narcisisticamente bisogno, cioè l'apprezzamento.
Segno non solo di disistima ma del sentirsi a posto davanti alla proiezione di dio che ci siamo creati, una sorta di ladrocinio velato del consenso che si esprime con gesti facciali chiari e posture lampanti.
Su quanto una falsa spiritualità si sia fondata su questi atteggiamenti di sottile superbia potremmo a lungo continuare.
Altra falsa umiltà è generata da alcune maschere che ci creiamo ad hoc per "apparire" migliori.
Tra queste le più evidenti sono le maschere devozionali.
Dure con se stesse e con gli altri le maschere devozionali, dietro un'apparenza di devozione nascondono una forte carnalità ed una vocazione perfezionista. Non solo sono vittime del loro stesso psichismo di mancata auto-stima (e di problemi nella sfera affettiva e quindi di castità) ma sono inquinate di quella superbia che le fa sentire fariseicamente giustificate (Lc 18,9-14) ma che in realtà non si sono mai giocate sinceramente nel perdono e nella carità sia verso se stesse che, inevitabilmente, verso gli altri.
Costoro evitano il peccato non perchè sarebbe un dispiacere a Cristo e un disordine effettivo ma piuttosto per sentirsi perfetti, "sopra i peccatori"; talvolta sono talmente immersi in questa menzogna superba che vivono così per una vita, senza accorgersene, duri dispensando durezza, apparentemente sani, sono inquinati di superbia fin nelle midolla.
Struttura deviata che fece pronunciare a Pascal quell'iperbole:"caste come angeli superbe come demoni".
Un'altra maschera ad hoc, così diffusa è quella del fare opere di carità, orante, monetaria o di volontariato, per sentirsi (e far vedere) che siamo a posto, giustificati, migliori.
Quante opere buone di ogni tipo, sono inquinate dalla superbia del cuore. Occorre vigilare sempre; gioire del bene e ridimensionarsi con un po' di sano umorismo. Perchè tutto il bene viene sempre da Dio e noi quando collaboriamo alla sua grazia siamo chiamati a gioirne e non ad appropriarcene; la superbia è infatti, una stoltezza secondo ragione, una non verità, un assurdo ontologico.
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La superbia sociale
Tutte le volte che la società decide e stabilisce chi è uomo e chi non lo è compie un atto di superbia distruttivo e selettivo. Da questo a-priori "statalista" e sociale viene ogni mentalità eugenetica, che passa dapprima velatamente con leggi scritte per selezionare l'uomo o ucciderlo quando esso è d'ostacolo al progresso, con l'apparenza di essere liberali. Successivamente si scardinano le fondamenta societarie quali la famiglia.
Anche se, di fatto, il male, la superbia del controllo morale, massmediale e la manipolazione dell'informazione dei cittadini finisce sempre per divorare se stesso.
Ma il degrado della superbia sociale non finisce qui e continua poi con il degrado della tortura (fisica e psichica), la discriminazione, il relativismo morale, la pena di morte, l'aborto, l'eutanasia, la pedofilia, la manipolazione genetica della vita e la guerra.
Non è lontano quel 1982 quando Giovanni Paolo II, nel XV messaggio per la pace disse della guerra:"il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti".
La risposta di Cristo alla superbia
La risposta di Cristo alla superbia è espressa nel fantastico inno alla comunità di Filippi che scrisse l'apostolo Paolo:
"Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. " (Fil. 2, 5-11)
La nudità e la spogliazione di Cristo sono la via per essere veri davanti a Dio e davanti a se stessi, non tanto per essere migliori quanto per essere in comunione con Lui e con i fratelli ed essere nella verità. Questo è fare Quaresima
Infatti diciamo, ancora una volta, solo quando sei nudo sei libero.
Diceva infatti Francesco di Assisi: "poiché quanto l'uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più" (FF169)


mercoledì 13 febbraio 2013

La Chiesa è Cristo

All’inizio dell’udienza generale Benedetto XVI spiega ai fedeli la sua decisione di lasciare il pontificato ed esorta alla preghiera

La Chiesa è di Cristo

Per il tempo quaresimale l’invito a rinnovare l’impegno di conversione mettendo Dio al primo posto

Benedetto XVI  ha deciso di rinunciare al pontificato «in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo e aver esaminato davanti a Dio» la sua coscienza. È stato lui stesso a ribadirlo all’inizio dell’udienza generale di mercoledì mattina, 13 febbraio, nell’Aula Paolo VI. Queste le parole rivolte ai fedeli prima della catechesi dedicata alla Quaresima.
Cari fratelli e sorelle,
come sapete — grazie per la vostra simpatia! — ho deciso di rinunciare al ministero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. Ringrazio tutti per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato. Grazie! Ho sentito quasi fisicamente in questi giorni, per me non facili, la forza della preghiera, che l’amore della Chiesa, la vostra preghiera, mi porta. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro  Papa. Il Signore ci guiderà.
 
14 febbraio 2013


domenica 10 febbraio 2013

11 febbraio giornata internazionale del malato




“O Madre mia, é nel vostro cuore che io vengo ad affidare le angoscie del mio cuore ed attingervi forza e coraggio”.
(Santa Bernardetta: Quaderno delle note intime.p.28)

Giornata internazionale del malato
Docili all’invito della tua voce materna, o Vergine Immacolata di Lourdes, accorriamo ai tuoi piedi presso la grotta, ove Ti degnasti di apparire per indicare ai peccatori il cammino della preghiera e della penitenza e per dispensare ai sofferenti le grazie e i prodigi della tua sovrana bontà.
O candida Visione di Paradiso, allontana dalle menti le tenebre dell’errore con la luce della fede, solleva le anime affrante con il celeste profumo della speranza, ravviva gli aridi cuori con l’onda divina della carità. Fa’ che amiamo e serviamo il tuo dolce Gesù, così da meritare la felicità eterna.
Sia benedetta la Santa ed Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio. Amen.

lunedì 4 febbraio 2013

L'Amore non finisce mai è eterno

L'AMORE NON FINISCE MAI E' ETERNO

Non basta che il granellino di senape diventi un bellissimo albero grande ma deve consentire che gli uccelli vi facciano i loro nidi; così è per l'amore, non solo deve crescere dentro di noi come un albero, ma deve permettere che anche gli altri vi prendano il posto, deve aprirsi all'amore con gli altri; l'amore non può mai essere "egoistico", ma sarà vero amore solo quando apre il proprio cuore agli altri.

 

Maria Maistrini





domenica 3 febbraio 2013

L'Orazione coniugata con l'umiltà



L’ORAZIONE CONIUGATA CON L’UMILTA’ 


Nella mia vita ho sempre chiesto a Dio di farmi dono di qualcosa a cui avrei potuto utilizzare per il  bene comunitario. Egli mi ha ascoltata e mi ha concesso il dono “dell’orazione”.  Inizialmente pensavo che non fosse possibile: ho sempre pensato che la mia fosse presunzione perché volevo diventare una sorta di angelo sulla terra; poi pian pianino ho capito che il fondamenta per costruire l’edificio dell’orazione dov’essere “l’umiltà”.  Infatti la preghiera semplice fatta dagli umili vale più di tante parole o sublimi ragionamenti. Le grazie speciali che Dio concede durante la preghiera alle anime non le possiamo  intendere se non le sperimentiamo. Dio innalza l’umile, lo feconda e lo conduce nel deserto,
una volta giunti nel deserto raccolti nell’orazione ci poniamo dinanzi a Dio come il povero, muto e paralitico alla porta di un ricco. Dio non è uno che ascolta la voce, ma lui ama ascoltare i battiti del cuore. Lui è il MEDICO DIVINO, è Colui che cura le anime.  L’orazione frutto dell’unione con Dio è un tesoro nascosto che sta dentro di noi e lo si può trovare solo con l’aiuto di Dio. Il dono della preghiera non si fonda sui nostri meriti ma sulla misericordia di Dio.
Santa Teresa d’Avila parlando dell’orazione diceva: “TIENI PER QUANTO PUOI IL TUO SPIRITO ALLA PRESENZA DI DIO E SE QUALCHE VOLTA SI DISTRAE, NON TI TURBARE. I TURBAMENTI DELLO SPIRITO SERVONO PIUTTOSTO A DISTRARLO CHE A RICHIAMARLO. E’ NECESSARIO INVECE CHE LA VOLONTÀ  LO RICHIAMI TRANQUILLAMENTE.  SE PERSEVERAI COSI’, DIO AVRÀ’ PIETA’ DI  TE.”
Maria Maistrini

venerdì 1 febbraio 2013

Messaggio del Papa per la Quaresima

CREDERE NELLA CARITÀ SUSCITA CARITÀ: MESSAGGIO DEL PAPA PER LA QUARESIMA

Città del Vaticano, 1 febbraio 2013 . "Credere nella carità suscita carità. 
'Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi'" è il titolo del messaggio
 del Santo Padre per la Quaresima 2013. Il documento, pubblicato in otto lingue 
(tedesco, arabo, spagnolo, francese, inglese, italiano, polacco e portoghese), 
è datato dal Vaticano il 15 ottobre 2012. Di seguito riportiamo il testo
 completo.
Cari fratelli e sorelle,
la celebrazione della Quaresima, nel contesto dell’Anno della fede, ci offre
 una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità: tra il credere
 in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l’amore, che è frutto dell’azione dello Spirito Santo
 e ci guida in un cammino di dedizione verso Dio e verso gli altri.
1. La fede come risposta all'amore di Dio.
Già nella mia prima Enciclica ho offerto qualche elemento per cogliere lo 
stretto legame tra queste due virtù teologali, la fede e la carità. Partendo dalla
 fondamentale affermazione dell’apostolo Giovanni: «Abbiamo conosciuto e creduto
 l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16), ricordavo che «all'inizio dell'essere cristiano
 non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome 
Dio ci ha amati per primo (cfr 1
Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un ”comandamento”, ma è la risposta
 al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro» (Deus caritas est, 1). 
La fede costituisce quella
personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione
 dell'amore gratuito e «appassionato» che Dio ha per noi e che si manifesta
 pienamente in Gesù Cristo.
L’incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche 
l’intelletto: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della
 nostra volontà alla sua
unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. 
Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai “concluso” e completato» (ibid., 17). Da qui deriva per tutti i cristiani e, 
in particolare, per gli «operatori della carità», la necessità della fede, di 
quell'«incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro
 animo all'altro, così che per loro l'amore del prossimo non sia più un 
comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza

 derivante dalla loro fede che diventa operante nell'amore» (ibid., 31a). Il cristiano è una persona conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore -
 «caritas Christi urget nos» (2 Cor 5,14) –, è aperto in modo profondo e concreto 
all'amore per il prossimo (cfr ibid., 33). Tale atteggiamento nasce anzitutto dalla 
coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare 
i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nell’amore di Dio. 
«La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! ... La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore.
 Esso è la luce – in fondo l'unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo
 buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (ibid., 39). Tutto ciò ci fa capire come
 il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio «l'amore fondato sulla fede
 e da essa plasmato» (ibid., 7).
2. La carità come vita nella fede
Tutta la vita cristiana è un rispondere all'amore di Dio. La prima risposta è 
appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita 
iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il «sì» della fede segna l’inizio 
di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno 
a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo
 amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci 
in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo
, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20). Quando noi lasciamo spazio all’amore
 di Dio,
 siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore
significa
 lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui;
solo allora 
la nostra fede diventa veramente «operosa per mezzo della carità»
 (Gal 5,6) ed Egli 
prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12). La fede è conoscere la verità
 e aderirvi
 (cfr 1 Tm 2,4); la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef 4,15). 
Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; con la carità si vive e si
coltiva questa
 amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento
 del Signore 
e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). 
Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22).
La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa 
fruttificare (cfr Mt 25,14-30). 3. L'indissolubile intreccio tra fede e carità Alla
 luce di quanto detto, risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, 
opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è
 fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato,
 infatti, è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento 
sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare 
le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo.
Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia 
della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede.
 Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivi
smo
 moralista. L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro 
con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in
modo 
da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra
Scrittura
 vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita
la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso
i poveri
 (cfr At6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo
 qual 
modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e
integrarsi
 (cfr Lc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera
condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr Catechesi all’Udienza
 generale del 
25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine
«carità» 
alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che
massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola».
Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare
 il pane della Parola 
di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel
rapporto 
con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona
 umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell'Enciclica 
Populorum progressio, è l'annuncio di Cristo il primo e principale fattore 
di sviluppo (cfr n. 16). E’ la verità originaria dell’amore di Dio per noi, 
vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere 
questo amore e rende possibile lo sviluppo integrale dell’umanità e di ogni uomo
 (cfr Enc. Caritas in veritate, 8). In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore.
 L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. 
Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto 
col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare 
e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri. A proposito del
rapporto tra fede e opere di carità, un’espressione della Lettera di san Paolo agli Efesini
 riassume forse nel modo migliore la loro correlazione: «Per grazia infatti siete 
salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle
 opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in
 Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo»
 (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l'iniziativa salvifica viene da Dio,
dalla sua 
Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa,
lungi dal l
imitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende
 autentiche 
e le orienta verso le opere della carità. Queste non sono frutto
 principalmente 
dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede,
 sgorgano 
dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come
 un albero
 senza frutti: queste due virtù si implicano reciprocamente. La Quaresima ci invita
 proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristiana, ad alimentare 
la fede 
attraverso un ascolto più attento e prolungato della Parola di Dio
 e la 
partecipazione ai Sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere
 nella
 carità,
 nell’amore verso Dio e verso il prossimo, anche attraverso le indicazioni 
concrete del digiuno, della penitenza e dell’elemosina.
4. Priorità della fede, primato della carità
Come ogni dono di Dio, fede e carità riconducono all'azione dell'unico 
e medesimo Spirito Santo (cfr 1 Cor 13), quello Spirito che in noi grida 
«Abbà! Padre» (Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» (1 Cor 12,3)
 e «Maranatha!» (1 Cor 16,22; Ap 22,20). La fede, dono e risposta, ci fa
conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e
perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato
in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5). Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è 
coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fede («il sapersi amati da Dio»),
 ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane
 per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr 1 Cor 13,13). Carissimi fratelli e sorelle, 
in questo tempo di Quaresima, in cui ci prepariamo a celebrare l’evento della Croce e
 della Risurrezione, nel quale l’Amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia
, auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù 
Cristo, per entrare nel suo stesso 
circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo
 nella nostra vita.
 Per questo elevo la mia preghiera a Dio, mentre invoco su ciascuno e su ogni 
comunità la 
Benedizione del Signore!
Benedetto XVI

Il Santo Rosario del Vaticano...pregate con me!!!







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Esposizione dei misteri

Il Rosario è composto di venti "misteri" (eventi, momenti significativi) della vita di Gesù e di Maria, divisi dopo la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae, in quattro Corone.

La prima Corona comprende i misteri gaudiosi (lunedì e sabato), la seconda i luminosi (giovedì), la terza i dolorosi (martedì e venerdì) e la quarta i gloriosi (mercoledì e domenica).

«Questa indicazione non intende tuttavia limitare una conveniente libertà nella meditazione personale e comunitaria, a seconda delle esigenze spirituali e pastorali e soprattutto delle coincidenze liturgiche che possono suggerire opportuni adattamenti» (Rosarium Virginis Mariae, n. 38).

Per aiutare l'itinerario meditativo-contemplativo del Rosario, ad ogni "mistero" sono riportati due testi di riferimento: il primo della Sacra Scrittura, il secondo del Catechismo della Chiesa Cattolica.



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