Commento al Vangelo – II Domenica dopo Natale C 2013 (Mt 2,1-12)
Epifania del Signore
I Magi e l’adorazione del Redentore
Quando
nacque Gesù Cristo, regnava nella Giudea Erode, chiamato il Grande, si direbbe per una storica
ironia, perché se fece molti lavori pubblici, fu un crudelissimo tiranno, e
ottenne il regno a furia d’intrighi col senato romano. L’evangelista fa notare
intenzionalmente che regnava Erode, un Idumeo straniero che rappresentava per
di più l’autorità dei Romani, per far notare che Gesù Cristo, secondo la
profezia di Giacobbe (cf Gn 49,10),
era nato quando lo scettro regale era stato tolto a Giuda. Erode era padre di
quell’Erode, tetrarca della Galilea che fece poi decapitare il Battista e schernì
Gesù Cristo nella sua Passione. Alla sua morte, infatti, il regno venne diviso
dai Romani in quattro tetrarchie e dato ai suoi figli; terminò così anche
quella parvenza di regno che egli era riuscito a conquistare.
Gesù Cristo nacque a Betlemme di Giuda, chiamata
anche Efrata, piccola borgata situata a circa due ore di cammino a sud di
Gerusalemme. Vi era un’altra Betlemme situata nella tribù di Zabulon in
Galilea, e l’evangelista aggiunge al nome della città la regione cui
apparteneva, per mostrare che il Redentore era nato nella città di Davide come
suo discendente, e aveva compiuto, con la sua nascita, la profezia di Michea,
ricordata ad Erode stesso dai principi dei sacerdoti.
Non può dirsi
con precisione da quanto tempo era nato il Redentore, quando alcuni sapienti
dell’oriente, chiamati perciò con parola generica Magi, si recarono a Gerusalemme
per adorare il nato Re, essendo stati chiamati alla sua culla da un astro
fulgentissimo che era apparso nel cielo.
Questi Magi
studiavano astrologia, e non ignoravano la profezia di Balaam (cf Nm 24,17), con la quale si annunciava
l’apparizione di una nuova stella in Giacobbe alla nascita del promesso Messia.
All’apparizione della stella che era come una meteora luminosa, si sentirono
internamente ispirati ad andare a Gerusalemme per far ricerca del nato Re, e
intrapresero il lungo viaggio. Essi venivano probabilmente dall’Arabia e,
secondo la comune tradizione, erano tre, sapienti e principi, tenuti in grande
considerazione nel loro paese. La stella quasi li invitava al viaggio, perché
si librava nell’atmosfera come un segno che indicava la direzione del cammino
da intraprendere, e mostrava di muoversi in quella direzione. Non era dunque un
astro che aveva un moto circolare, non
poteva essere un’illusione, non poteva essere un segno confondibile
con un fenomeno sidereo qualunque: era un segno celeste, una chiamata di Dio.
La
fede dei Magi fu grande, perché il viaggio non era facile, e fu grande
soprannaturalmente, perché essi non avrebbero avuto interesse ad andare a
conoscere un neonato re, se non avessero sentito e creduto che quel Re era il
Salvatore promesso. Era la primizia dei pagani che il Signore chiamava alla
fede – come dice la Chiesa –, era la rappresentanza del mondo che veniva a
rendere omaggio all’Uomo Dio, e veniva a scuotere un po’ l’indifferenza con la
quale era stato ricevuto in terra che pur lo aveva aspettato.
È evidente
dalla Tradizione e dal medesimo contesto del Vangelo che la stella li
accompagnò durante il viaggio, e che si eclissò forse quando entrarono nella
terra d’Israele.
Dio che è infinita economia e non compie
opere superflue, fece eclissare il segno straordinario dove era possibile
essere guidati dai lumi naturali di chi stava al pubblico potere. Potrebbe
anche supporsi che le nubi avessero eclissato la meteora e che essa rimanesse
solo occultata nell’atmosfera. Comunque sia, i Magi, non sapendo dove andare,
si rivolsero al re Erode, come a colui che avrebbe dovuto essere informato
della nascita dell’atteso Messia. Con la semplicità che caratterizzava i popoli
orientali, essi domandarono dove fosse nato il re dei Giudei, avendo visto la
sua stella in oriente. Erode che aveva consumato tanti delitti per avere e
conservare il regno, fu costernato a questa notizia, perché sapeva benissimo
che gli Ebrei aspettavano un liberatore, e che da tutti si diceva prossimo
l’evento. Dissimulò, pertanto, il suo turbamento e, nel suo crudele animo, fece
già il piano di sbarazzarsi del nato Re, uccidendolo. Chiamò i capi delle
classi sacerdotali e i dottori della Legge, e domandò loro con insistenza dove
sarebbe dovuto nascere il Cristo. La sua domanda suscitò un turbamento in tutta
Gerusalemme, perché la carovana degli stranieri che vi erano giunti, l’annuncio
del compimento delle promesse, e forse soprattutto il timore della crudeltà del
tiranno, sconvolto dall’annuncio della nascita del re aspettato, faceva temere
al popolo qualche brutta sorpresa. L’ingratitudine umana, poi, non ha limiti,
dolorosamente; il popolo si era adattato al regime di oppressione e, come tutti
i popoli decaduti, preferiva rimanere supinamente oppresso, anziché venire in
urto con chi lo dominava.
Il Vangelo
dice espressamente che Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme; non fu dunque un moto di
commozione per l’annuncio del nato Re, ma un timore grande di nuove oppressioni
da parte del tiranno, e di complicazioni penose che rese il popolo solidale col
perfido monarca.
Il
prestigio dei Magi non doveva essere indifferente, se Erode prese in tanta
considerazione la loro domanda, e la stimò così vera, da radunare il consiglio
dei sacerdoti e degli scribi, per sapere da loro la risposta che avrebbe dovuto
dare. Si sapeva che le profezie riguardanti il Redentore erano determinate, e
questo non poteva ignorarlo lo stesso Erode; non era dunque difficile
rispondere ai Magi, facendo capo alle Scritture. Il consiglio dei sacerdoti e
degli scribi, infatti, fu unanime nell’affermare che il Redentore doveva nascere
a Betlemme di Giuda, secondo la profezia di Michea.
L’evangelista non cita letteralmente la profezia,
ma il senso che dà è preciso. Michea dice che Betlemme è piccola fra le
mille città di Giuda ma,
nascendo da essa il Redentore, è grande; san Matteo dice nel medesimo senso che
essa non è la minima tra le città principali di Giuda, perché da essa esce il
condottiero che deve reggere il popolo d’Israele.
Avuta la
risposta, Erode chiamò segretamente a sé i Magi, perché volle evitare che il
popolo li accompagnasse e andasse dal nato Messia, e s’informò minutamente del
tempo nel quale era loro comparsa la stella. La risposta dei sacerdoti lo aveva
anche di più insospettito e preoccupato, perché essa aveva un grande valore
innanzi al popolo, e avrebbe potuto provocare una sommossa contro la sua
usurpata autorità. Astuto com’era, finse di volersi recare anch’egli ad adorare
il nato Re, e mandò i Magi a Betlemme perché l’avessero ricercato, e gli
avessero riferito minutamente intorno al luogo dove si trovava. Voleva saperlo
per poi farlo uccidere, e s’informò del tempo della comparsa della stella
perché, al suo animo crudele, abituato alle stragi, già balenava l’idea di non
ucciderlo direttamente attirandosi l’odiosità popolare, ma di coinvolgerlo in
una strage comune.
Appena
udita la risposta del re, i Magi partirono, ed ecco che la stella, visto
nell’oriente ed eclissata ai loro sguardi, riapparve nel cielo, con immensa
gioia del loro animo, indicò la via da percorrere e si fermò sulla grotta
dov’era ricoverato Gesù; è probabile, infatti, che la Vergine Santissima fosse
stata costretta a rimanere in quella grotta, continuando l’affluenza dei forestieri
a Betlemme per il censimento. Forse la dolcissima Mamma si fermò perché
Gerusalemme era poco distante da Betlemme, ed attese il compimento dei giorni legali
per presentare al tempio il Bambino; forse fu disposizione di Dio che il Verbo
Incarnato rimanesse ancora in quella povertà estrema, per manifestarsi così ai
pagani. Il fatto certo è che Maria stava ancora a Betlemme all’arrivo dei Magi,
e si trovò sola col Bambinello, essendo andato san Giuseppe o a lavorare o a
disbrigare faccende.
I Magi non
videro nulla di straordinario, ma videro ciò che era immensamente straordinario
da ferire l’anima d’amore: videro Maria col suo Bambino divino e furono
talmente colpiti dalla santità della Madre e dalla maestà del Figlio che si
prostrarono e lo adorarono, non a mo’ di saluto, perché non avrebbero potuto
salutare un infante, ma lo adorarono come Re e come Dio, e gli offrirono doni,
come soleva farsi ai re, e doni particolari che si addicevano al Redentore:
l’oro, l’incenso e la mirra. Con l’oro lo riconobbero Re, con l’incenso lo
confessarono Dio, con la mirra riconobbero la sua condizione di Vittima.
Innanzi
a Gesù Cristo e a Maria Santissima si sentirono infiammati d’amore, provarono
una felicità mai sentita nella loro vita e, avvertiti in sogno di non ritornare
da Erode, temendo di essere vigilati dal tiranno, se ne ritornarono per
un’altra strada, segretamente, al loro paese.
Don Dolindo Ruotolo
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